È il mio destino.

Questa notte sono qui a giocare, sblocca un ricordo. Devo scrivere: questa è la mia psicoterapia settimanale. Molti in queste parole potrebbero rispecchiarsi, alcuni riconoscersi e altri provare pena, ma noi la pena altrui la rispediamo al mittente. Crescere con un padre abusante non è una passeggiata, anche se oggi sono qui e ne parlo liberamente, soprattutto perché me le dico da sola, certe cose e senza nessuno che incominci a fare domande private e lesive, solo perché non riesce a cogliere le sfumature di quello che dico. Soprattutto perché quello che dico, le dico con tutto il loro peso, sono schiaccianti come macigni sul costato. Della mia infanzia, (ma che dico?) dei miei primi vent’anni di vita dal giorno che sono andata via. Ho imparato a dare il giusto peso alle parole, le parole sono il mio silicio che mi porto dietro da allora. Ci sono diversi modi per piegare l’animo e la volontà di un bambino e molte volte le punizioni corporali da sole non bastano. Il modo più efficace secondo me è il disprezzo in ogni sua forma. Nel disprezzo non ci sono occhi che ti guardano amorevolmente, non c’è quella parola consolatoria, nel disprezzo non c’è la pietas. Nel disprezzo c’è il fastidio, l’aria di sufficienza, lo sguardo del disappunto, l’occhio giudicante e la non tolleranza. Nel disprezzo c’è la collera. La collera ha tanti modi per manifestarsi, in maniera fisica si diventa l’oggetto di carne dove riversare colpe e responsabilità. Poi c’è la collera verbale: fatta di urla, di minacce, poi ci sono le offese e le vessazioni. I bambini figli di genitori abusanti, diventano piccole Geishe: muti, sottomessi, servizievoli, con il terrore negli occhi e con l’immenso desiderio di essere amati. Cresci e quel senso di inadeguatezza cresce con te, che sei sbagliato ed è per questo chi ti circonda ti schernisce con parole umilianti, ma la fortuna che si è stati ancora troppo piccoli per dare il giusto peso a quelle parole lapidarie quando colpivano. Le parole… Mi rendo conto che ancora oggi c’è gente che non dà il giusto peso alle parole (la lingua non ha ossa ma rompe le ossa) i detti degli antichi hanno sempre un fondo di verità. Quella verità che ti fa percorrere a ritroso nella mente perché una parola poco carina intenta a ferirti in realtà è stata una vera sassaiola. Il problema naturalmente non è di chi le dice le cose: ma nostro, del nostro modo di pesarle e di immagazzinarle. Io le botte non le ricordo più, ricordo solo che in un periodo tra i tredici e i quattordici anni, le botte non mi facevano più niente, avevo la pelle dura, ma quello che non dimenticherò mai sono le parole di scherno, il repertorio comprendeva dal peso corporeo al quoziente intellettivo, per non dimenticare le fragorose risate dei commensali. Questa mattina pensavo a un commento che avevo lasciato sotto a un post (ho fatto piangere la madre superiora con garbo ed eleganza) Non ho avuto sempre un brutto carattere, ero la creatura più buona e mite, mi isolavo, mi perdevo nella natura e nel mio mondo di fantasia. Dio mio! Ho impiegato quasi quarantasette anni a capire che indosso una maschera perché la mia sensibilità mi mi avrebbe permesso di vivere e camminare su questo pianeta. Sembra quasi che debba ringraziare mio padre per avermi resa sfuggente, respingente e sgarbata, quel tanto che è bastato a farmi sopravvivere. Le parole sono il mio punto di forza ma sono il mio tallone d’Achille e mi rendo conto che le parole che dolgono di più arrivano sempre da chi si ama e si reputa fondamentale.

E come dice un poeta contemporaneo, è il mio destino.

Passo e chiudo

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Pubblicato da lastronzaomofoba

Diario Autobiografico, tra il ridicolo e il paradosso “LaStronzaOmofoba” racconta la sua vita. Tra attacchi di ira, sconforto e qualche bella notizia. L’utilizzo di questo Blog come se fosse un vero e proprio diario. Sperando di far sorridere, riflettere e emozionarvi. PS: Chiedo scusa per le parolacce, ma chi, in fin dei conti non scrive qualche parolaccia nel proprio diario?!

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